Risulta essere sempre più diffuso nel mondo del lavoro l’uso del contratto part time consistente in un’occupazione avente un regime di orario globalmente ridotto rispetto a quello ordinario, che permette sia di soddisfare le esigenze di flessibilità delle imprese sia di adattare lo svolgimento della prestazione lavorativa a particolari necessità del dipendente, quale ad esempio la conciliazione tra lavoro e famiglia.
Stipulazione e tipologie contrattuali
Nel contratto individuale a tempo parziale deve essere contenuta sia l’indicazione della durata della prestazione lavorativa sia l’orario di lavoro con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno. La forma scritta è obbligatoria ai fini della prova dell’esistenza del tipo di contratto: il datore che non ottempera, infatti, a questa norma è passibile, su richiesta del dipendente, di dover dichiarare la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo pieno.
E il regime del tempo parziale può essere applicato con una delle seguenti tipologie:
1) part time orizzontale in cui la riduzione di orario rispetto al tempo pieno è prevista in relazione all’orario giornaliero di lavoro (ad esempio 4 ore piuttosto che 8 alla settimana);
2) part time verticale in cui l’attività lavorativa è svolta full time ma limitatamente a periodi predeterminati della settimana, del mese o dell’anno (ad esempio 3 giorni di orario pieno alla settimana);
3) part time misto consistente in una combinazione delle due tipologie sopra descritte (ad esempio, in alcuni periodi dell’anno si può concordare una riduzione dell’orario di lavoro del 50%, in altri prevedere un lavoro full time per alcuni giorni della settimana).
Clausole elastiche e clausole flessibili
Rispetto alla precedente disciplina, il D.lgs 276/2003 (cd Riforma Biagi) ha reso possibile una maggiore flessibilità nella gestione del rapporto superando il principio generale secondo cui il datore di lavoro non poteva variare unilateralmente la collocazione temporanea della prestazione o aumentare l’orario di lavoro.
È possibile, infatti, che le parti sottoscrivano specifici accordi in tal senso con l’unico limite dell’impossibilità di concedere al datore di lavoro una facoltà ad libitum. In particolare, in tutte le tipologie a tempo parziale è possibile concordare clausole flessibili relative alla variazione della collocazione temporanea della prestazione mentre nei casi di part time verticale o misto è consentito che vengano sottoscritte clausole elastiche relative alla variazione in aumento della prestazione. Tali clausole possono essere stipulate per iscritto contestualmente alla sottoscrizione del contratto parziale ed eventualmente anche in un tempo successivo magari alla presenza di un rappresentante sindacale se questi sia stato richiesto dal dipendente.
Da notare che il rifiuto ad accordare clausole elastiche e flessibili non configura un giustificato motivo di licenziamento. Spetta, invece, alla contrattazione collettiva nazionale stabilire in che misura e per quali motivi il patto elastico possa modificare l’orario di lavoro e quale sia il compenso che dovrà essere corrisposto al lavoratore a fronte dell’accettazione della flessibilità dell’orario. Qualora non vi siano disposizioni in tal senso, ogni decisione è lasciata all’autonomia delle parti che hanno altresì in ogni caso la possibilità di stabilire, in luogo di un compenso vero e proprio, altri strumenti quali la facoltà di ricorrere al riposo compensativo in relazione alle ore aggiuntive prestate. Resta fermo che l’esercizio concordato di flessibilizzazione del rapporto attribuisce al lavoratore il diritto ad essere informato da parte del datore con almeno due giorni di anticipo (obbligo di preavviso).
Risarcimento per flessibilizzazione illegittima
Secondo la Riforma Biagi la domanda di svolgimento di prestazioni elastiche o flessibili senza il rispetto delle previsioni di legge, comporta a favore del lavoratore il diritto, oltre alla retribuzione dovuta, ad un ulteriore emolumento a titolo di risarcimento del danno (art. 8, co.2-bis). In altri termini, oltre alla paga proporzionale alla prestazione effettivamente svolta, il dipendente avrà diritto alla percezione di un compenso destinato a risarcire il disagio subito conseguentemente all’imposizione di una flessibilità non contemplata dalla normativa collettiva o altrimenti richiesta senza il rispetto del preavviso o comunque senza aver acquisito il consenso del lavoratore.
Soluzione al primo quesito
Da quanto detto ne consegue che è possibile per il datore di lavoro variare la collocazione dell’orario della prestazione o addirittura aumentarla se tale specifica facoltà sia stata prevista mediante apposito accordo con il dipendente. In caso contrario, il lavoratore arbitrariamente obbligato ad un part time flessibilizzato potrà ottenere non solo la retribuzione dovuta per la prestazione effettivamente svolta, quanto anche il risarcimento del disagio subito. Il lavoratore ha invece la possibilità di richiedere il part time.
Patto flessibilee “doppio lavoro”
Quanto al secondo quesito, premesso che è possibile essere legati a due o più datori di lavoro con contratti a tempo parziale, occorre aver chiare le possibili limitazioni al “doppio lavoro”. Intanto il dipendente impegnato presso diversi datori non è esentato dal rispetto del vincolo di fedeltà né tanto meno dall’obbligo di non poter svolgere, per conto proprio o di terzi, attività in concorrenza con uno dei propri datori di lavoro. Inoltre l’orario di lavoro cumulativo dovrà essere contenuto nei limiti previsti dalla legge. Infine, sarebbe opportuno che il dipendente comunicasse agli altri datori di lavoro la sottoscrizione di clausole flessibili o elastiche affinché proprio questi ultimi possano essere a conoscenza della effettiva disponibilità del lavoratore a prestazioni aggiuntive. Ragion per cui nel secondo caso prospettato nulla impedisce ad un dipendente sottoscrittore di un patto flessibile di avere un doppio lavoro.